venerdì 26 giugno 2015

Accoglienza o emergenza.

L'accoglienza è l'atto di ricevere con un adeguata predisposizione d'animo qualcosa o qualcuno. Dal momento stesso in cui noi decidiamo di ricevere a casa nostra una persona, che sia un parente o un amico o qualcuno al quale vogliamo tendere una mano, vuol dire che siamo benevolmente predisposti nei suoi confronti e quindi pronti all'accoglienza. Nessuno si sognerebbe mai di aprire le porte di casa propria a una persona che non vede di buon occhio, della quale non si fida o si fida poco, o almeno lo farebbe con una predisposizione d'animo diversa, più guardinga e meno portata all'accoglienza vera e propria. Accogliere quindi, vuol dire accettare l'altro benevolmente, farlo sentire a suo agio, così è compito di chi accoglie rendere il soggiorno della persona che ospita, breve o lungo che sia, il più gradevole possibile, in base alle proprie possibilità, ai propri mezzi. Da parte della persona ospitata, ci deve essere una sorta di rispetto del luogo in cui si trova, delle abitudini e usanze della persona che ospita, senza voler imporre le proprie in virtù dell'accoglienza accordatali. Ospitare qualcuno quindi, non deve stravolgerci la vita o metterci in condizioni di non poter adempiere alle nostre funzioni quotidiane, impedirci di eseguire il nostro lavoro, a meno che non siamo noi stessi a voler fare, non come obbligo ma come scelta. Quando l'accoglienza è una necessità, un caso straordinario, non è più accoglienza ma diventa emergenza, ed è quindi compito di tutti, nei limiti delle proprie possibilità, prendersi carico di fronteggiare tale situazione, senza che nessuno possa esimersi. Un emergenza non è quindi qualcosa di voluto, cercato, non implica una scelta proprio perchè è un emergenza. Troppo spesso le parole vengono utilizzate a sproposito, così da cambiare il senso delle cose, stravolgere completamente i fatti, a favore o sfavore a seconda della convenienza, ma i fatti non possono essere stravolti, ed in qualsiasi maniera vogliate chiamarla, un emergenza resterà sempre un emergenza.

martedì 23 giugno 2015

L'individuo e il gruppo

Fin dalla nascita,l'individuo appartiene ad un gruppo che è la famiglia. In seguito egli continuerà,qualcuno di più qualcuno meno,a far parte di gruppi, ad agire all'interno di essi, a modellare il proprio comportamento su quella base, sia che si tratti della scuola, di un gruppo di lavoro o sportivo o altro. La parola gruppo, deriva da groppo o nodo,e indica un insieme formato da diversi individui, ma non si deve confondere il gruppo con una semplice riunione di persone che si troverebbero solo in una situazione collettiva. Il gruppo è caratterizzato da una struttura in cui esiste una interazione permanente, del tipo stimolo di risposta tra i vari componenti, che fa si che il gruppo si distingua da una semplice enumerazione statica. Una somma di individui quindi,che costituisce un entità che permette di spiegare i comportamenti propri del gruppo stesso. Un gruppo formato da un numero non eccessivo di membri, permetterà migliori scambi interindividuali, il perseguimento comune degli stessi fini,che corrisponde agli interessi di ciascuno riguardo ai valori in cui crede. Un clima affettivo nato dalle relazioni interindividuali si rifletterà positivamente sulle capacità di apprendimento e sul rendimento del gruppo. Anche lo svolgimento del compito di ognuno è un fattore di coesione, perchè il mantenimento dell'equilibrio dipende dalla sua distribuzione, così non si verificheranno tensioni o rivalità. Un numero maggiore di membri, non favorirà la comunicazione diretta tra loro, i rapporti interpersonali saranno più formali e freddi e ciò favorirà la formazione,all'interno del gruppo stesso, di gruppi più piccoli, proprio per l'esigenza di relazionarsi. Se ci sono delle competizioni all'interno del gruppo, renderà meno facile il lavoro o il compito, al contrario la competizione tra gruppi diversi, può rafforzare la coesione e il sentimento di appartenenza. Le caratteristiche individuali possono anche influenzare un integrazione efficace, nella misura in cui l'individuo, a causa della sua educazione o del suo temperamento, incontri maggiori o minori difficoltà a stare o lavorare con gli altri, un gruppo infatti esige una certa tolleranza e cooperazione. Si può quindi parlare di gruppo quando ci sono determinate caratteristiche. La simpatia reciproca è all'origine dalla coesione, la motivazione e la distribuzione dei compiti in maniera equa, le comunicazioni e la soddisfazione personale che saranno maggiori se il gruppo non è competitivo tra i vari componenti del gruppo stesso, ma ciò che sta alla base di quello che si definisce gruppo, è l'interazione, la partecipazione permanete e non una semplice riunione di individui.
Un discorso a parte potremo farlo per i più giovani, per i ragazzi ancora in fase di formazione. La maggior parte dei ragazzi, trova la maniera di associarsi in un gruppo, che sia formato da compagni di scuola o amici di quartiere non fa molta differenza per loro ed è più facile trovare motivo di aggregazione. Ci sono però diversi modi di fare gruppo e questo spesso dipende da quanto il ragazzo sia capace di avere una propria identità, diversa da quella degli altri. Ci sono dei ragazzi che non sono in grado di essere "sè" e finiscono per avere lo stesso modo di vestire,che non è solo un fatto di moda, parlare, uniformarsi persino nelle idee, in una sorta di omologazione. La propensione a stare su questa posizione di imitazione reciproca, con l'illusione di essere qualcuno essendo l'altro per un assurdo gioco di specchi, non favoriscono un identità personale. C'è però una differenza fondamentale tra i ragazzi che questi bisogni li vivono, poi li elaborano e vengono trasformati e quei ragazzi che non riescono ad elaborarli ma continuamente li subiscono. Alla radice di questo, ci sono difese e corazze stabilizzate che servono ad evitare la relazione con qualcosa di veramente diverso da sè, che spesso incute timore. Le grandi amicizie dell'adolescenza, spesso tendono a finire con l'età adulta, proprio perchè molte sono relazioni in cui si idealizzano gli amici, invece di essere un ponte verso l'individualizzazione di sè, importante per formare una propria personalità, perchè una volta coscienti della proria identità potremo davvero vedere nell'altro noi stessi, non per imitarlo, ma per poterlo capire. Vedendo nell'altro un essere umano che potremmo essere noi, potremo quasi sentire ciò che prova, ed i nostri atteggiamenti nei suoi confronti saranno diversi. Allora e solo allora sapremo come comportarci e saremo pronti  a far parte di un gruppo che lo sia per davvero, pur rimanendo noi stessi.

martedì 9 giugno 2015

Silenzio...ascolta

La società, prova sempre un certo disagio di fronte a un soggetto chiuso, lo giudica male. Lo può trovare superbo oppure bizzarro, facendosi un'idea sbagliata. E' il linguaggio che permette il contatto, se è turbato, le relazioni lo sono altrettanto. Quando si parla, non vi sono solo le parole, vi è la voce, il tono, insomma un calore che si comunica all'altro. Tuttavia il silenzio non è una colpa, eccetto i casi in cui parlare è un dovere. Si può tacere per tanti motivi, perchè si è preoccupati, anche se vi è gente che invece si lamenta delle proprie cose, ma c'è chi non lo fa. Forse questa è semplicemente a causa di un modo di pensare o di agire, potremo chiamarla riservatezza. Anche le persone d'azione parlano poco, ma la riflessione conduce allo stesso risultato, se riflettono troppo, diventano pensierose, si isolano, un'altra forma di silenzio. I silenzi comunque, fanno parte anche di un evoluzione interiore, ci si stacca dagli altri per arricchirsi interiormente, per farne ritorno non appena abbiamo capito meglio ciò che si prova. Il silenzio può essere una forma di sensibilità, è l'emotività che inibisce e ci rende silenziosi. Quello che sento, lo sento interiormente, senza potermi esprimere o esteriorizzarlo. La timidezza, il timore di non essere compresi o mal interpretati, perchè l'incomprensione non ci lascia indifferenti, così che si reagisce in maniere diverse, una è il silenzio, privandosi del bisogno di voler parlare con gli altri, confinandosi in un modo di vivere che procura l'antipatia di coloro che non capiscono le motivazioni di quel silenzio. Un contatto anche modesto, certe volte, basta a prepararne altri, più vasti. Durante un colloquio, basta una parola perchè la situazione si distenda e si stabilisca una corrente, ma basta pure una parola perchè ci si ritrovi lontani l'uno dall'altro. A volte basta fare un gesto amichevole, ma sopratutto, mostrare la disponibilità attraverso la quale si possa avvertire di essere capiti. Se abbiamo fiducia ci si apre, perchè il silenzio dipende dall' atteggiamento e dalle intenzioni dell'altro. Molti parlano solo per parlare, a troppi piace sentire solo il suono della propria voce, qualche volta bisogna stare in silenzio per ascoltare e non solo udire, che non è la stessa cosa.

Silenzio...
adesso stai ad ascoltare
quello che ho nel cuore
poi se vuoi potrai parlare.

Silenzio.

Non voglio urlare e
nemmeno bisbigliare,
che non sia solo un suono
da poter ignorare.

Silenzio...
quello che ho da dire
dovevi già saperlo,
non hai mai ascoltato,
per quello l'hai ignorato.

Silenzio...ascolta.

Se adesso ti è arrivato,
è perchè hai ascoltato.

lunedì 8 giugno 2015

Madre natura

In questi tempi il ritorno alle cure ed alla alimentazione naturale è una reazione istintiva della società di fronte ai guasti della civiltà consumistica, guasti che lo stesso essere umano, con la sua cupidigia, ha provocato. Oggi, tutti noi conosciamo le conseguenze del falso mito del superuomo che piega le forze della natura per affermare la propria superiorità. La natura non può essere piegata, la natura va rispettata, altrimenti si ribellerà sempre, a scapito dell'intera umanità. La realtà contemporanea è un esplosione degli sprechi, dei consumi e della distruzione ecologica, e non ci vengano a dire che queste brutture non hanno alternative. Produrre prodotti naturali, pregiati, si salverebbe l'ambiente e la nostra salute. Sembra che si faccia strada il concetto di intervento globale a difesa della società in cui viviamo e del nostro habitat insidiato dall'inquinamento e dai tanti danni dell'inciviltà consumistica, ma ognuno di noi può fare qualcosa. Non è certamente nella nostra possibilità operare questo mutamento profondo, ma è compito dell'uomo di cultura, nei limiti delle sue umane possibilità operative, introdurre un concetto, un modo di essere, dimostrando di non far parte di quel cardine dell'ingranaggio autodistruttivo che è la mercificazione. Ciascuno di noi può fare delle scelte in ogni momento della giornata, per l'alimentazione, l'igiene personale, per quella della casa o del posto di lavoro, respingendo, per quello che ci è possibile, ogni cosa offenda la natura e ogni essere vivente. L'uomo non attende altro che di essere guidato in una direzione di salvezza, di ritornare con amore e con energia alla buona terra, alla natura, con un atteggiamento più attento, umile, ma certamente più produttivo e maturo. Ritornare quindi ad un ideale umanistico non più mercificato, senza più strumentalizzare la scienza del profitto a svantaggio di un bene più assoluto che è il bene per l'uomo, il rispetto di ogni essere vivente e della natura.

" Sono pochi ora, ma la speranza è che divengano molti,
affinchè l'uomo possa sentirsi protagonista della propria vita
in armonia con la natura madre e di lui stesso parte essenziale...
perchè possa sentire ancora il profumo della primavera.
il canto degli uccelli, la fragranza del mare, l'odore della buona terra "

                                                             A.Cecchini

venerdì 5 giugno 2015

Percepire è meglio

L'istinto si presenta per prima cosa come un impulso, una tendenza, cioè come quella forza orientata verso degli scopi ben precisi e in quel senso l'essere umano possiede "istinti" come l'animale. Nel mondo animale però la tendenza viene soddisfatta, generalmente, per mezzo di "atti istintivi" che sembrano implicare un'abilità innata, nel senso che non richiede nessun apprendimento. Nell'essere umano invece, l'abilità e la tendenza restano separate, tra esse si pone il tempo dell'apprendimento o dell'intelligenza che deve inventare delle tecniche per soddisfare la tendenza. Per sua natura, nell'essere umano non esiste un'abilità spontanea, ogni generazione, per suo conto, impara di nuovo a parlare la lingua natia, a camminare, a scrivere, i vari mestieri ecc...tentando di assimilare quello che i predecessori hanno scoperto o inventato nel corso dei secoli. Nell'istinto, l'animale è provvisto naturalmente di strutture appartenenti all'organismo che li utilizza, per cui è provveduto per tutte le sue funzioni istintive. L'essere umano non è provvisto naturalmente di tali strutture, ma in più ha l'intelligenza, così da potergli permettere di inventare e costruire da se stesso gli arnesi di cui necessita, unendo l'aspetto dell'intelligenza a quello istintivo. Nell'essere umano si può quindi parlare di istinti ma non di veri e propri atti istintivi.
L'abitudine, si contrappone all'istinto in quanto è un modo di sentire e agire acquistato e relativamente stabile, finalizzato e involontario. L'azione abituale, una volta scattata, si compie da sola, così come fa un ciclista che non è più cosciente degli innumerevoli movimenti che compie per restare in equilibrio sulla bicicletta. L'abitudine è quindi l'acquisizione di una struttura di insieme ove ogni movimento ha un senso, se non esistesse non saremmo in grado di compiere gesti semplici, come camminare, o impiegheremo del tempo a compierli. In questo senso l'abitudine agevola la nostra esistenza, liberando la coscienza e la volontà per nuovi compiti più importanti, per un nuovo slancio. Nel'abitudine il corpo non è più un nemico dell'anima in cui il corpo resiste, ma cessa di essere un ostacolo, diventa interprete, come quando una ballerina non sente più il suo corpo come un oggetto estraneo che le fa da intralcio, ma è essa stessa il corpo. In questo senso l'abitudine non è più inerzia o meccanismo ma uno stato di grazia. L'abitudine è però ambigua perchè un essere umano condannato alla ripetizione diviene una macchina e può solo fare quello che ha imparato a fare senza inventiva. L'abitudine può meccanizzare i nostri atti e talvolta affievolire i sentimenti, impedendo l'arricchimento della nostra vita. Così l'artista che non si rivolge all'automatismo preconfezionato dell'accadeismo, cerca una maniera di esorcizzare l'abitudine, ritrovando nell'arte il significato ingenuo e originale del mondo. Di sicuro la tecnica aiuta, però non bisogna trascurare l'immaginazione o meglio ancora la percezione, perchè immaginare è sempre percepire, ma male, percepire è anche immaginare, ma meglio.
Così ci sono abitudini essenziali che ci aiutano a vivere meglio la quotidianità, mentre ce ne sono altre che possono impedirci di evolvere o addirittura alcune deleterie, come abituarsi al male, all'ingiustizia, alla disumanità. Ripetere sempre le stesse azioni, porta quindi a una specie di assopimento dello spirito, che inaridirà il poeta e pietrificherà nel convenzionale le scoperte rivoluzionarie.

" Un'anima morta è un'anima completamente abituata "    Péguy