sabato 18 marzo 2017

Quel lavoro che nobilita l'uomo

Siamo stati abituati a pensare che il lavoro è necessario per la completezza dell'uomo. Ogni mestiere, anche il più umile, è un affermazione della propria personalità, dando all'individuo il senso di essere in grado di fare, oltre ad essere in grado di poter ottemperare ai propri bisogni. Se consideriamo l'uomo dal punto di vista produttivo, non possiamo fare a meno di notare che c'è stata una mutazione in tal senso. Fino al Rinascimento l'uomo lavorava per vivere, da allora in poi ha iniziato a vivere per lavorare, fino ad arrivare ad oggi in cui troviamo ulteriori differenze.Oggi molti lavorano solo per poter sopravvivere, spesso costretti ad accettare condizioni discutibili pur di mantenersi il lavoro, senza contare poi i casi più estremi in cui le condizioni sono tali che non lo si può nemmeno chiamare lavoro, ma sfruttamento. Allora io mi chiedo che fine abbia fatto quel lavoro che nobilita l'uomo, quel lavoro che permette ad ogni essere umano di avere una propria dignità, sentirsi partecipe della realizzazione di un progetto,sentirsi soddisfatto di se stesso, riuscire ad ottemperare ai suoi bisogni ed ai suoi doveri di cittadino. Al tempo stesso mi chiedo come si possa considerare un fanullone chi semplicemente non è disposto, pur nella necessità, ad accettare condizioni degradanti, ad accettare di essere sfruttato con corrispettivi che sono un insulto al proprio lavoro ed oltretutto non sufficienti nemmeno a sopravvivere. In aumento sono anche coloro che, pur volendosi adattare a tali condizioni, creando in questo modo una lotta al ribasso con il conseguente proliferare dello sfruttamento, un lavoro non riescono a trovarlo ugualmente. I motivi possono essere molti, vuoi per l'età o per problematiche di salute che non permettono all'individuo di poter svolgere agevolmente qualsiasi tipo di attività, specie le più pesanti, o semplicemente perchè non c'è nessun tipo di richiesta. In questi casi sperare di sopravvivere, se non c'è nessuno che può offrire un aiuto, è praticamente pari a zero. Poi ci sono alcuni lavoratori in proprio che un lavoro ancora lo conservano, spesso lottando contro la burocrazia e la concorrenza sleale, sapendosi reinventare, facendo scelte a volte controcorrente, puntando sulla qualità e non sulla quantità, ma spesso questo non basta e si ritrovano, magari ad un'età avanzata, senza un lavoro e con poche probabilità di trovarne un'altro.
Ma in questo marasma di lotta per la sopravvivenza e per la conquista di un misero lavoro, paradossalmente si trovano a galleggiare, con il loro salvagente statale, coloro che si sentono al sicuro nel loro posto fisso, con tutele raramente concesse in altro ambiti lavorativi, salvagente pronto a chiudere un occhio, a volte tutti e due, in situazioni in cui gli occhi bisognerebbe tenerli ben aperti. Così come è vero che non tutti i lavori sono uguali, è anche vero che non tutti i lavoratori godono di stessi diritti. Ci sono coloro che non possono nemmeno permettersi di ammalarsi per non rischiare il posto di lavoro, mentre c'è chi può fingersi malato ed al limite rischiare una sospensione per poi essere reintegrato. Non c'è da meravigliarsi quindi che in certi ambienti, senza per questo voler generalizzare, ci sia la tendenza a fare il meno possibile, tanto lo stipendio a fine mese lo trovano ugualmente, a dispetto di altri che lo stipendio se lo devono sudare, spesso facendo di più di quello per cui sono pagati. Ci sono certi tipi di lavoro per i quali però una negligenza potrebbe fare la differenza, specie nei casi in cui da quello potrebbe dipendere la vita di qualcuno, e mai , in nessun caso, dovrebbe rimanere impunita. Allo stesso modo, ci sono lavoratori che non godono di nessun salvagente nei casi in cui vengano a trovarsi senza lavoro per cause non da loro dipendenti, mentre altri sono tutelati, possono usufruire di una cassa integrazione, se pur misera, ma che permette loro di non morire di fame in attesa di un reintegro o di un nuovo impiego o di arrivare all'età pensionabile. In pratica ci sono categorie di lavoratori che godono di agevolazioni a volte legittime, altre volte molto discutibili, o vantaggi che non hanno nulla a che vedere con il merito, ma è il preoccupante aumento della disoccupazione che porta a conseguenze disastrose, specie quando lo stato, pur di mantenere i privilegi di alcuni, nega la possibilità ai suoi cittadini in difficoltà, un aiuto per poter sopravvivere.Le cose funzionano solo quando si rispetta il giusto di tutti, ed il giusto di tutti non vuol dire mantenere i privilegi di alcuni a discapito dei diritti di altri, specie se si tratta di sopravvivenza. Il lavoro non è un privilegio concesso dal potere, ma è un diritto, così come è un diritto riuscire almeno a sopravvivere, ed un reddito universale di disoccupazione adeguatamente concepito, che sia basato sul reddito reale e non su quello presunto, allo stato attuale è forse l'unica possibilità per molti di non morire di fame.
In attesa di quel lavoro che nobilita l'uomo e non rimane nemmeno la possibilità di adattarsi a trovare quel lavoro che lo rende simile alle bestie, tentando al tempo stesso di conservare la propria umanità, lo Stato dovrebbe provvedere a dare una sussistenza ai cittadini in difficoltà, trovando le risorse semplicemente abolendo i privilegi, combattendo la grande evasione fiscale, la ricchezza accumulata evadendo i tributi. Uno Stato che permette lo sfruttamento dei lavoratori, permette la delocalizzazione delle aziende italiane all'estero contribuendo a favorire la disoccupazione,contribuisce a creare le differenze dei diritti sul lavoro, non incentiva il merito decentivando al tempo stesso il demerito, non offre nessuna possibilità ai suoi cittadini per non morire di fame e sopratutto non da il buon esempio adeguando i suoi stipendi, abolendo i privilegi, i vitalizi concessi negli anni, le pensioni d'oro non contributive e tutti gli altri vantaggi che non lo rendono credibile agli occhi dei cittadini, è uno Stato che ha fallito la sua missione.

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